TERRA DEI FUOCHI E SFRUTTAMENTO DEGLI IMMIGRATI

La Terra dei Fuochi è una realtà drammatica dello Stivale. In essa è in forte ascesa lo sfruttamento dei migranti volta ad incrementare l'affare delle bonifiche ambientali. Con la conseguente crescita del fattore collusivo tra esponenti "borghesi" della camorra e i settori corrotti della pubblica amministrazione. Tutti si indignano, ma poi c’è chi continua a bruciare i rifiuti nell'hinterland partenopeo incurante della salute pubblica e di chi, di fatto “è obbligato a metterne in opera i roghi”. Ovviamente da Napoli parte il degrado che poi si estende alle sue periferie dove l'abbandono dei campi rom è solo un esempio su cui meditare. Per natura il destinatario per eccellenza degli interventi che dovevano necessitare affinché tutto non accadesse è lo Stato che ad oggi potremmo definire “complice”. La camorra ha fatto, praticamente, di questa terra un sistema economico che ha messo in ginocchio la regione Campania creando una sorta di doppio gioco dove  la criminalità organizzata ottiene i soldi per sotterrare i rifiuti e di contempo ne riceve tanti altri per bonificare le aree. Lo smaltimento dei rifiuti è, in pratica, affidato a camorra e colletti bianchi, poiché solo un binomio del genere può garantire una delinquenza di questo livello comprendo il tutto e rendendo il risultato “quasi normale”. Tante che le aziende locali coinvolte, così come i comuni, possono entrarne a far parte e di contro risultarne esenti.
Gli immigrati in Campania, in questo gioco,  sono doppiamente danneggiati. La nocività della Terra dei fuochi colpisce tutta popolazione, ma gli immigrati in particolare visto che gli stessi la vivono oltre che come abitanti anche da lavoratori in nero.
Come  Associazione "Mande " ed  Unione Sindacale di Base siamo giunti, grazie  alle  nostre indagini, al risultato che la povertà degli immigrati porta alla schiavitù, perché è attraverso il ricatto economico gli immigrati  i quali accettano qualsiasi tipo d’impegno, al di fuori di ogni garanzia sulla sicurezza sui luoghi e condizioni di lavoro ed il rispetto degli orari minimi essenziali, che sia ha la manodopera di cui la criminalità necessita.  
Di salute non si parla nemmeno, visto ché non appare come esigenza immediata o come diritto da esigere. E quindi, quando sui luoghi di lavoro accadono incidenti o ci si ammala, per cause lavorative o di altra natura,  gli  immigrati  scoprono di non servire più e che  nessuno si preoccupa di riconoscere loro un minimo regime di diritto. Inutile ipotizzare un eventuale  diritto di rientro al lavoro dopo una eventuale convalescenza …. Gli immigrati di fatto sono degli invisibili del sistema di lavoro. Praticamente sono sfruttati per la distruzione e poi “gettati” quando inservibili.
Ed è in quel preciso istante, ci riferiamo all’infortunio/malattia,  che l’immigrato entra in contatto con il  sistema sanitario  campano. Scoprendo che per accedere ai servizi del sistema, lo stesso, si troverà di fronte a mille difficoltà o, peggio ancora,  dinnanzi alla necessità di cure che gli risulteranno impossibile da fronteggiare (visto che dovrà far fronte, a livello economico, in forma privata).
Dai registi dei ricoveri, risulta, che l’ingresso dei pazienti immigrati avviene quasi sempre in stato d’urgenza (codice rosso). La cosa più assurda, ma allo stesso tempo frequente, è che gli  immigrati provenienti dall’ Africa spesso sono trasportati in reparti di  malattie infettive, perché per ignoranza o pregiudizio razziale agli stessi gli vengono considerati gli eventuali sospetti di malattie di tipo venereo a prescindere di quanto accusato. Anche nel caso, in cui gli stessi, risiedono fattivamente in Italia da almeno 5-10 anni, anche i sanitari locali agiscono in conseguenza  di probabili malattie trasmissibili … trattandoli di conseguenza.
Anche se, e questo è da tener conto, i dati confermano che gli immigrati in gran parte giungono nel nostro paese in buona salute; e quindi, in grado di sopportare lavori “anche” duri.
Il problema è quindi da ricercare altrove. Essendo che gli stessi, statisticamente, si ammalano dopo lunghi periodi di difficoltà dovuti alle difficili condizioni di vita ed abitative; che di norma si trovano ad affrontare prima che sopraggiunga la “malattia”.   
Altro dato da considerare è invece legato alla mortalità totale e quella infantile degli stessi che in Italia è in ascesa nel dato complessivo con un picco massimo proprio in quello regionale campana che è motivo del nostro interesse. A tale riguardo, il nostro impegno è volto al miglioramento  dei servizi di igiene e profilassi  preventiva in regione.

A sostegno delle nostre affermazioni vi sottoponiamo, di seguito, alcuni dati Istat chiarendo che gli stessi vengano valutati per difetto, poiché non possono per ragioni di censimento  includere  gli immigrati di natura irregolare, e quindi non censiti, che spesso vengono etichettati come “sconosciuti o nulli” specialmente in caso di decesso.

Sulla mortalità infantile tra gli immigrati (dati ISTAT), si rileva che dai risultati derivati dal 2006 a oggi, riguardanti i tassi di mortalità infantile degli stranieri residenti in Italia. Gli stessi sono stati sempre più alti rispetto a quelli dei locali residenti.  Tanto che il divario non si è, mai, drasticamente ridotto. Al contrario di quanto si potrebbe sostenere.  Anche se per entrambi il trend, si registra, una discesa. Nello specifico: il tasso degli stranieri è sceso da 4,71 decessi per 1.000 nati vivi residenti nel triennio 2006-2008 a 4,55 nel triennio 2009-2011; quello degli italiani da 3,15 a 3,01 decessi per 1.000 nati vivi residenti.  

 

Quindi, ne consegue, che il divario del tasso di mortalità tra stranieri ed italiani è più alto nel periodo post-neonatale (1,46 decessi per 1.000 nati vivi stranieri contro 0,80 degli italiani nel triennio 2009-2011) rispetto al periodo neonatale (3,09 contro 2,21) indicando come i fattori esogeni legati al disagio sociale incidano nel mantenere alto il divario tra immigrati residenti ed italiani. Tale gap si riflette anche nella diversa struttura della mortalità tra i due gruppi: tra gli stranieri, infatti, risultano più alti i rischi di morte soprattutto per malformazioni congenite, a cui seguono i rischi per condizioni morbose del periodo perinatale e, anche se per una piccola quota, per le cause esterne.
I risultati ottenuti dall’analisi delle cause multiple rispecchiano il divario esistente tra stranieri residenti e italiani in quanto i tassi risultano ancora una volta più alti tra i primi rispetto ai secondi. Quindi è palese la sottolineatura del risultato ottenuto per Sintomi e segni mal definiti per il quale, a parità di tasso per causa iniziale osservante un tasso per causa multipla più alto tra gli stranieri rispetto agli italiani (1,20 decessi per 1.000 nati vivi stranieri, 0,75 per gli italiani), indicando in alcuni casi una minore informazione sul quadro patologico a disposizione del medico al momento della certificazione del decesso.   
Dal confronto a livello nazionale, si è perciò passati ad un’analisi a livello regionale dove si può, quindi affermare, con sicurezza che nella maggioranza delle regioni esiste un divario tra italiani e stranieri dove i bambini stranieri sotto l’anno di vita muoiono di più di quelli italiani e in media nazionale circa 1,5 volte in più.
Esiste tuttavia una notevole variabilità sul territorio, sia in termini di rapporto tra la mortalità dei cittadini italiani e stranieri, sia in termini di livelli raggiunti: da un lato abbiamo regioni come la Campania e il Lazio in cui la mortalità infantile dei cittadini stranieri è rispettivamente 2,2 e 2,7 volte quella degli italiani e con un tasso pari a 8,3 decessi per mille nati vivi stranieri in Campania e 7,3 nel Lazio, o le due provincie autonome di Trento e Bolzano dove pur non avendo tassi particolarmente alti, il rapporto è rispettivamente di 2,1 e 3,4 volte a sfavore degli stranieri; dall’altro lato invece ci sono situazioni in cui il rapporto è in linea con quello nazionale ma i livelli di mortalità risultano decisamente elevati, come in Sicilia (4,47 morti tra gli italiani e 7,33 per gli stranieri) e in Calabria.
Come è evidente la Campania presenta un eccesso di mortalità percentuale sia per gli uomini (7° posto) che per le donne (3° posto) che di fatto gli consegna la “maglia nera” dell’assistenza sociale. 
Parlare, quindi, dell'assistenza degli immigrati e della  loro salute mentale… visto che gli stessi dopo aver messo in gioco “anche” la loro vita ne includono il fattore psicologico, subendone dei traumi irreversibili… è di fatto ina impresa apocalittica!!!
Il nostro sforzo, quindi, punta  sulla piena  assistenza ai sofferenti. Un caso che richiede una costante preparazione all’emergenza per dare più spinta alla lotta contro la disperazione e l'esclusione sociale degli immigrati dalla “società europeista”.
La Terra dei Fuochi, in conclusione, continua a mietere vittime. Secondo l’aggiornamento sulla situazione epidemiologica nei 55 Comuni campani coinvolti, eseguita dall’Istituto Superiore di Sanità, nell’area in questione si registrano più morti, più ricoveri e una maggiore incidenza di tumori maligni rispetto alla media regionale. Il Rapporto riguarda 32 Comuni della provincia di Napoli e 23 della provincia di Caserta. Tanto che la mortalità generale è in eccesso rispetto alla media regionale, in entrambi i gruppi di Comuni, sia tra gli uomini che tra le donne. 
Le patologie più frequenti sono tumori maligni di varia natura, dallo stomaco al fegato, dal polmone al pancreas, dalla mammella alla vescica. A rendere ancora più drammatico il quadro è il fatto che i più colpiti sono i bambini. Oltre alle malattie si sottolinea come un altro aspetto rilevante per l’area della Terra dei fuochi in relazione alla salute infantile risulta essere la deprivazione socioeconomica, che incide in particolare sulle malattie croniche.
Questo dovrebbe farci riflettere sulla nostra politica sociale e sanitaria generale con particolare riferimento a chi, in qualità di immigrato, non ha a disposizione lo strumento per potersi difendere essendone “vittima e carnefice”.