RINNOVATO IL CCNL LEGNO-ARREDO INDUSTRIA
MA A GUADAGNARCI E’ SOLO FEDERLEGNO
Fino a qualche decennio fa, vigeva in Italia un meccanismo che adeguava automaticamente i salari all’inflazione, la cosiddetta “Scala mobile”, sistema che proteggeva i redditi dei lavoratori dal carovita, conquistato con le lotte sociali. Poi, nel 1992, CGIL-CISL-UIL, accettarono di sopprimerlo e da allora i sopra citati sindacati, Confindustria e i vari governi che si sono succeduti, si sono sempre opposti ad un Legge che preveda l’indicizzazione automatica delle retribuzioni al costo della vita.
Questo porta svantaggi ai lavoratori, in quanto devono conquistarsi aumenti che, ai tempi in cui vigeva la Scala mobile, venivano riconosciuti automaticamente e vantaggi a CGIL-CISL-UIL perché possono millantare meriti che invece non hanno, ossia di aver ottenuto un incremento del salario che invece dovrebbe essere garantito legalmente, non essendo altro che un adeguamento all’Inflazione generale. Anche da qui si spiega il travaso della redistribuzione della ricchezza prodotta: dai redditi da lavoro verso i profitti, che si manifesta in Italia, e non solo, da diversi anni.
Prova di quanto su detto è il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro avvenuto il 13 dicembre 2016, per il settore Legno/Arredo-Industria.
Entrando nel merito, immancabile è la Quota di servizio sindacale, per cui i lavoratori non iscritti alle OO.SS. stipulanti (Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil) verseranno 25,00 euro, con il principio del silenzio-assenso, a chi ha rinnovato il CCNL. In realtà sono Fillea-Filca-Feneal che dovrebbero dare un contributo economico ai lavoratori per il mancato aumento, visto che nella piattaforma rivendicativa stimavano un incremento di 115,25 euro al livello medio AS1, per il triennio 2016-2019. Ne ottengono soltanto 46,90 euro, senza una tantum per recuperare i 9 mesi di vacatio contrattuale e, forse, altre due tranche ai primi del 2018 e del 2019. Certo, poi c’è l’aumento della quota datoriale per Previdenza e Sanità integrativa, ma di tali maggiorazioni ne beneficeranno soli gli iscritti ai fondi e, tra l’altro, non è detto che sia un aspetto positivo, considerato che tali strumenti legittimano e assecondano lo smantellamento della Previdenza e della Sanità pubblica, sostituendole con uno stato sociale privato e di “mercato”, in cui il lavoratore versa denaro e poi non sa assolutamente dove e come verrà reinvestito.
Ma ciò che suscita la gioia più grande in Federlegno (l’associazione padronale) è la parte riguardante la flessibilità dell’orario di lavoro. Alle imprese si da la facoltà di aumentare l’orario di lavoro settimanale (anche al sabato e alla domenica) fino ad un massimo di 112 ore annuali e i lavoratori non potranno rifiutarsi, se non per giustificati e comprovati motivi d’impedimento. L’azienda, poi, avrà 12 mesi di tempo, successivi all’anno solare in cui si è verificato l’incremento orario, per scegliere se disporre riposi compensativi o pagare il lavoro effettuato oltre le 40 ore settimanali come straordinario. Inoltre, sarà possibile superare il tetto delle 112 ore annui, con un apposito accordo aziendale.
Dulcis in fundo, il nuovo CCNL, anziché porre un argine alla precarietà dilagante di fonte legislativa, che la CGIL in particolare si era proposta di contrastare in sede contrattuale, ne introduce di nuova. E’ espressamente previsto che a livello decentrato si potranno aggiungere altri 12 ai 36 mesi di rapporto di lavoro a tempo determinato e la percentuale di lavoratori con quest’ultima tipologia di contratto potrà salire senza limiti, rispetto ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
L’Unione Sindacale di Base, per quanto sin qui esposto, invita i 250 mila interessati dal rinnovo contrattuale a pretendere da Fillea-Filca-Feneal un vero Referendum con votazione segreta in merito al nuovo CCNL, con la possibilità di partecipare alle assemblee anche a chi sostiene la necessità di respingere questo contratto e, comunque, a respingere l’intesa raggiunta, per rivendicare un vero Contratto Nazionale che garantisca diritti ai lavoratori e non alle imprese e che preveda aumenti retributivi congrui ad una vita dignitosa.