La Cgil e i tre minuti di stand ovation

Roma -

Numerosi lavoratori ci hanno chiesto una nostra opinione sul quindicesimo Congresso della Cgil che si è concluso da qualche giorno.

Potremmo, semplicemente, commentarlo con una battuta e un ricordo: aspettando Prodi e i tre minuti di standing ovation in platea.

 

Prodi parla, ed Epifani è lì a fare "sì" con la testa.

Nulla di nuovo, quindi, a proposito del "patto di legislatura" tra Epifani e Prodi andato in onda al congresso della Cgil.

Peccato, però, che la coazione a ripetere della Cgil non costituisca un fatto privato ma una pericolosa ipoteca sul futuro di milioni di lavoratrici e lavoratori.

Sembra come che il "patto di Rimini" richiami lo sventurato patto di Parma tra D’Amato e Berlusconi.

La relazione di Epifani, infatti, appiattita sul programma dell’Unione, lascia presagire comportamenti e prese di posizione che abbiamo già visto durante il Governo dell’Ulivo.
L’idea, radicata nella Cgil, che ci possano essere governi amici a prescindere dall’azione concreta e dai programmi realmente perseguiti, ha già prodotto i noti guasti nella precedente esperienza di governo di centro sinistra: dalla "contingente necessità" della guerra alla riforma delle pensioni, dal mercato del lavoro fino ai contratti nazionali di categoria, alla scuola, ai trasporti e alla sanità.
A suo tempo, l’apertura all’idea che il lavoro flessibile fosse una risorsa, ha prodotto la benedizione del pacchetto Treu da parte della Cgil con le conseguenze che ben conosciamo.

Ora, di fronte alla generica contrarietà alla legge 30 espressa nel programma dell’Unione, la Cgil di Epifani segue la scia e si mette a ruota del futuro Governo Prodi.

Ma i disastri prodotti dall'attuale Governo Berlusconi sulla precarizzazione del lavoro e della vita non sono superabili con le classiche "riforme" contenute nel programma dell’Unione e, affidare l’azione sindacale al cambiamento dello scenario politico rappresentato da Prodi, dimostra che il nodo dell’indipendenza del sindacato dagli schieramenti politici non è risolto o, meglio, è risolto alla vecchia maniera.


Nella relazione di Epifani c’è una pericolosa sintonia con l’Unione proprio su uno dei temi più scottanti nel mondo del lavoro, quello della precarietà. Nel programma dell’Unione le forme di lavoro flessibile, oggi più diffuse (dal lavoro somministrato, meglio conosciuto con la vecchia denominazione di lavoro interinale, così come il lavoro a progetto "individualizzato" privo di tutele e garanzie retributive minime), restano in piedi, fatte salve alcune proposte assai vaghe di contenimento dell’utilizzo distorto o improprio delle stesse.

Stessa musica nella relazione di Epifani.

Nessuna lotta al lavoro flessibile, che serve alle imprese per essere competitive, ma a quella che in nome della riduzione dei costi si traduce in precarietà.

Quindi, nello specifico, non si parla di "abrogare" la legge 30, ma di superarla attraverso significative modifiche, ossia, così come è scritto nel programma dell’Unione, introducendo un’armonizzazione dei carichi contributivi sui diversi tipi di contratto.

Di abolizione degli oltre un milione e mezzo di contratti a progetto, quindi, neanche a parlarne.

Al massimo ci si accontenta di auspicare che non siano addirittura più convenienti per i padroni sorvolando sui diritti.

E della riforma Moratti?

Dovrà essere radicalmente cambiata in alcuni aspetti, aumentando e valorizzando l'autonomia degli istituti e il ruolo degli insegnanti.

In realtà della riforma Moratti non c’è niente da salvare, neanche il titolo. Va cancellata. Punto.

Ritorna prepotentemente in campo, quindi, l’idea del sindacato collaborativo, tanto caro alla Confindustria, che incassa da questo congresso pericolose aperture anche in tema di riforma del modello contrattuale.

Un intervento tutto politico, che dimentica il sindacato, i lavoratori e che prefigura cinque anni di appiattimento totale sulle politiche dell’Unione.

Crediamo, invece, che da questo congresso esca confermata la necessità di rafforzare l’esperienza del sindacalismo di base indipendente che fa del conflitto lo strumento di regolazione degli interessi in campo.

Il Patto di legislatura avanzato da Epifani altro non è che la dichiarazione di morte dell’autonomia degli interessi dei lavoratori rispetto al quadro politico.

Occorre, invece, riprendere la strada del conflitto e assumere iniziative che infrangano la gabbia prodotta dalla concertazione, dalle scelte liberiste del governo nazionale e dell’Europa.